mercoledì 18 gennaio 2023

Il mondo magico di Sandy, recensione che passione, Simona Trunzo

IL MONDO MAGICO DI SANDY, DI DANIELA VIVIANO

“Narra la leggenda che sia accaduto solo una volta, dico una volta sola che una goccia di rugiada abbia scelto proprio quell’istante infinitesimale per nascere, quell’attimo fugace in cui il sole e la luna fossero a contatto l’uno con l’altra. E proprio in quell’attimo pare sia nata la bellissima fata di nome Sandy.”

Con questa soave descrizione, che accarezza i sensi della fantasia e ci catapulta in un viaggio ricco di personaggi e prove da superare, l’autrice presenta la protagonista, Sandy, avviandoci ad una lettura- avventura tutta da scoprire.

Tra elfi, draghi, streghe e fate emerge un filo conduttore che, oltre ad unire ed intrecciare in modo inaspettato le vite dei personaggi principali, riporta prepotentemente alla vita reale, invitando a delle riflessioni della vita quotidiana che, per quanto basilare, molto spesso nella contemporaneità dei nostri giorni sono trascurati, o ancor peggio dimenticati.

Daniela Viviano attribuisce il giusto valore all’importanza dei quattro elementi a cui associa caratteristiche magiche esaltandone il valore primordiale in tutta la loro essenza. Il rifermento ad aria-acqua-terra-fuoco è rafforzato anche dall’importanza fondamentale che assume il loro equilibrio e della forza nella loro stesa natura come elemento unico e imprescindibile. Questi stessi componenti che rappresentano l’elemento di forza e magia della protagonista Sandy, sono ulteriormente rafforzati da un altro elemento magico associato a colei che rappresenta la forza ed il coraggio Elfa Solar: la spada. Quest’ultima consentirà loro di sconfiggere il nemico comune, il Re Oscuro. Ma questa componente, che avvalora il detto l’unione fa la forza, si ripresenta con le quattro fatine, amiche della protagonista, che saranno presenze costanti per sostenerla, aiutarla e difenderla dagli attacchi esterni, coadiuvate dall’elfo Fanny, colui che ama Sandy. Quindi il valore dell’amicizia, il valore dell’amore e della forza motrice che rappresenta, sono caratterizzati da questo affetto costante che rende forti le relazioni delle amiche e non solo, contro ogni apparente contraddizione. Ancor più tutte le loro azioni, pensieri e modi di agire sono resi più nobili da un valore aggiunto di cui si sente forte esigenza: la sincerità. L’essere sinceri rappresenta l’animo delle persone che in ogni loro azione, pensiero o parola rispecchiano l’indole ad essere privi di intenzione ad ingannare o tradire la fiducia del prossimo. Una parola da una musicalità così semplice, ma pregna di un valore aggiunto che fa la differenza negli individui di cui ne sono dotati.

Quale parola sequenziale più adatta alla sincerità se non la verità, che nel racconto assume un ruolo di vera protagonista, che celata dalla menzogna, camuffata da sortilegi ingannevoli, sarà poi propulsione nelle scelte della protagonista Sandy, guidata dal suo buon cuore. La natura di ogni individuo, anche se celata, dimenticata, è sempre in noi stessi e riemergerà forte, guidata dall’istinto e dalla consapevolezza che restituisce l’identità nuda e cruda di appartenenza. Un’identità esplicita, liberata da contraddizione grazie alla verità. Medesimo percorso della protagonista, che rivivrà in modo catartico ciò che ha vissuto colei che l’ha cresciuta, come accade nelle famiglie appartenenti alla vita del quotidiano, in cui gli “avvenimenti si ripetono” sino a quando non si è pronti al risveglio, inteso come presa di coscienza della realtà circostante e di sé stessi. Così nel racconto la presa di coscienza porterà a donare sacrificando l’egoismo affettivo, cioè rinunciando a ciò o meglio chi si ama, perché voler bene non significa trattenere a sé, ma donare libertà di scelta e crescita individuale, che conduce poi alla consapevolezza.

Questa lettura si apre ad un viaggio fantastico per ogni lettore, non solo per scoprire le vicende della protagonista e dei vari personaggi, ma per riappropriarsi, attraverso l’irreale di ciò che ci appartiene e fa parte di tutti nella vita reale: verità, coraggio, forza, amicizia, amore e famiglia, con una ricerca approfondita per riappropriarsi delle proprie radici.

Simona Trunzo

Un luogo giusto in cui morire, recensione che passione, Simona Trunzo


del giallo “Un luogo giusto in cui morire” di Giuseppe Benassi, casa editrice L’Erudita

“Borrani era incazzato nero. Il treno doveva arrivare da Roma alle diciassette e trenta. Era un tetro pomeriggio di fine novembre, piovoso e nebbioso.”

 Quella che avrebbe potuto essere una comune e raffinata descrizione di un luogo si tramuta nell’introduzione all’obbrobrio grottesco che circonda il più comune degli spazi abitati dell’essere umano. Questa la visione scelta dall’autore del giallo Un luogo giusto in cui morire di Giuseppe Benassi, edito L’Erudita.

Tutto riporta a una installazione greve, ambienti lugubri, in cui ogni azione è attorniata dal lato oscuro, quello dei pensieri e dei peggiori tormenti della mente, che l’autore riesce a schiudere in un viaggio nell’oblio parallelo al percorso del protagonista, vittima delle sue stesse congetture paranoiche che assumono visioni distorte delle realtà più banali: così come paragonare il dentifricio a un verme bianco che prende vita sul suo spazzolino. L’avvocato Borrani, vittima dei suoi stessi pensieri, sarà travolto da eventi oscuri e coincidenze beffarde che lo condurranno a essere il principale sospettato del delitto che si consuma.

Ma come può la morte di un uomo aprire a nuove possibilità di vita? La riflessione a cui ci invita Giuseppe Benassi va oltre il comune pensare, perché ci apre a una visione differente della stessa morte, non finalizzata come condizione permanente e irreversibile, ma come trasformazione o mutazione degli eventi. La morte di un individuo in effetti ha ripercussioni sulle persone coinvolte indirettamente e non, perché provoca cambiamenti, che possono essere anche evoluzione morale e personale dei soggetti interessati, comunque sempre metamorfosi. Ma si fa riferimento anche alla morte morale, quella che ci rende burattini privi di anima e di pensiero in balia delle circostanze, come un tronco trasportato dalle onde del mare, ma che fortunatamente si possono risvegliare da questo sonno apparente e liberarsi dai fili e riappropriarsi di se stessi e del dono più bello ricevuto: la vita.

Vita-morte, una dualità che si ripropone durante la lettura come stadi dell’evoluzione dell’anima in una continua catarsi, così come quando la candida neve bianca diventa simbolo di purificazione. Una dualità ricorrente che si alterna scombinando equilibri instabili, che abbattono barriere morali preconcette e false che si nascondono da una facciata di integrità morale ben costruita e fuorviante da quella che può essere la semplice realtà delle cose.

Il protagonista di Un luogo giusto in cui morire decide così di sfidare il destino e stravolgere gli schemi della sua ben costruita quotidianità intrinseca di noia che avvelena l’anima in una stasi malata. Così, nonostante la sua palese indolenza, inizia una battaglia contro gli eventi che si presentano repentini e insidiosi, quasi premonizione di disgrazia, ma che decide di sfidare e affrontare anche nelle peggiori delle ipotesi, sino a dissolversi nel nulla, così come l’accusa che l’ha travolto.

Una ricerca della verità dei fatti e di se stessi, dove si affrontano coincidenze ed eventi, dove bisogna oltrepassare il limite di ciò che è apparente e mettere tutto in discussione, decidere se la verità celata equivale a mentire o è solo omettere, rendendosi conto che non si conosce mai nessuno completamente, a cominciare da se stessi. Un’indagine introspettiva e dei fatti, fondamentalmente un’indagine della vita e dell’essere umano e dei lati oscuri che si nascondono in ogni singolo individuo, una continua ricerca di verità ed equilibrio che ci conduce all’alternanza di ordine assoluto e caos, da bene a male, da luce a buio.

Leggi anche la recensione di “Nella vertigine d’un’assenza” di Paolo Ferrari

La lettura del romanzo di Giuseppe Benassi invita a un’analisi bizzarra della vita e della coscienza dell’uomo, avvolta da mistero, coincidenze, paure che si superano solo con la ricerca ostinata della verità, in primis quella di noi stessi.

Simona Trunzo

Nella vertigine d’un’assenza, recensione che passione, Simona Trunzo


Recensioni: “Nella vertigine d’un’assenza” di Paolo Ferrari

Immagini evocate dalle parole poetiche dell’autore che introducono a una profonda riflessione sull’essenza di ciò che ci circonda e la vita stessa, una volta trovata una sua giustificata essenza si annulla nell’infinita assenza della sua essenza.

Il continuo altalenante annullare un concetto per dare spazio al suo opposto, annullare e ridare vita al concetto precedentemente vanificato, come nel simbolo dell’infinito, tutto si annulla per dare spazio a se stesso.

“Tutto è vita, tutto è morte

Tutto esiste, tutto è inesistente.”

Nella vertigine d’un’assenza di Paolo Ferrari (O barra O) è una lettura poetica che conduce a una riflessione della vita-non vita, ricca di descrizioni avvalorate dall’efficacia delle parole scelte, che sono esse stesse protagoniste silenti, che aprono uno scenario ricco di emozioni e sentimenti- “oppure no, perché voce mancante”.

Parola-Silenzio. La parola nasce dal silenzio e alla parola espressa subentra nuovamente il silenzio, come uno stato di quiete tralciato dalla forza comunicativa. Anche nella parola si presenta prepotente l’alternanza della contrapposizione, della sua presenza assenza, come espressione del mondo interiore che si rivela come reazione alle provocazioni esterne. E come tale ha avuto una sua evoluzione. Gli strumenti essenziali di cui si è servito l’uomo per la sua evoluzione sono linguaggio e lavoro.

La fabbricazione quanto il successivo perfezionamento degli strumenti di lavoro e la necessità della collaborazione comune hanno condotto l’essere umano al bisogno di comprendersi e trasmettere le proprie esperienze. L’acquisizione del linguaggio ha reso possibile lo sviluppo del pensiero, con conseguente processo evoluto dell’uomo. Tutto si svolge come ciclo naturale della vita e delle sue alternanze: tutto e niente, male e bene, nel valore assoluto del tempo e del suo fluire.

Un’occasione acritica di rivivere e analizzare il recente passaggio storico, come estratto dalla contemporaneità dei tempi, ricco di sfaccettature da approfondire in un’analisi socioculturale ed emotiva, con riferimenti alla scienza e al suo evolvere, una scienza che si rifugia nel caos primordiale, nel disordine più assoluto della materia dalla quale si formò il mondo. Tracce di indizi per un’analisi del sé e non sé. Mutazione, trasformazione e rinascita.

E ci inoltriamo nel ciclo vita morte, ma morte esistenziale o carnale o vita priva di vita stessa che apre l’anima ad una morte emotiva che ci rende privi della nostra essenza, del sé. Un vuoto esistenziale che si trasforma in una voragine che ci travolge. Anche il respiro, che è parte intrinseca dell’essere umano è scandito da un ritmo ben preciso, che rende il nostro vivere armonioso, un ‘armonia che si riflette nei nostri pensieri e movimenti, un continuo respiro che si rigenera come il flusso delle acque del mare e dei fiumi.

“Un niente che scopre e discopre/ svela e nasconde.”

Una lettura travolgente determinata dalla sua delicatezza poetica narrativa con cui Paolo Ferrari ci accompagna in viaggi temporali passati, recenti e contemporanei, episodi storici violenti e cruenti che si sono imposti in modo tirannico, velati dalla sua capacità narrativa descrittiva e dalla scelta delle parole non parole, in riflessioni esistenziali quasi a non voler esprimere alcun giudizio, ma invitando il lettore a continue riflessioni, dal tutto al niente, come unico filo conduttore.

“La scrittura scrive
La parola dice e poi scompare.”

Simona Trunzo

Gli stessi occhi, recensione che passione, Simona Trunzo


Recensioni: “Gli stessi occhi” di Francesca Mattei

Il titolo di questa novella di Francesca Mattei dal titolo Gli stessi occhi (edita Zona 42) si apre a più riflessioni, non solo pertinenti al contenuto dello scritto.

L’occhio innanzitutto è un organo di senso che ricava informazioni sull’ambiente circostante e dal punto di vista psicologico e sensoriale assume nuova espressione, diviene la capacità di prendere coscienza di una realtà che si considera esterna a noi, ma anche interna, e nella novella sono un riferimento di riconoscimento identificabile del protagonista. Elliot, infatti, compagno di Edda, improvvisamente subisce una trasformazione che stravolge ogni stabilità emotiva e del quotidiano, in modo repentino e senza possibilità di scelta. Questa nuova situazione porta Edda a una rielaborazione di se stessa in ogni piccola sfaccettatura, dalla prima fase dell’accettazione della nuova realtà al tormento di interrogativi che si susseguono vertiginosamente: dal chiedersi se Elliot in questa sua nuova forma si ricorda di lei, che tipo di percezione ha dell’ambiente circostante e in particolare perché, perché è avvenuto ciò.

Dopo la fase dell’accettazione comincia per Edda una ricerca di studi e approfondimenti per prendere consapevolezza della nuova situazione, quindi un approfondimento scientifico sulla nuova natura di Elliot, avvicinarsi alla sua capacità percettiva, sensoriale e comunicativa, per riuscire a mantenere una relazione costante e reale con il suo amato. Con il passare del tempo la tranquillizza fondamentalmente che Elliot voglia mantenere la loro relazione, non volendosi inserire in quella che è divenuta la sua nuova dimensione: il rapporto con Edda resta unico ed esclusivo.

Edda nel volersi approcciare al nuovo Elliot e volendo creare per lui situazioni di comfort, comincia a riflettere anche sulla loro relazione da un nuovo punto di vista, che si pone oltre la visione del quotidiano, dell’abitudine e di ciò che dai per scontato. Ad esempio, nel voler scoprire quali nuovi pensieri attraversano la mente di Elliot si pone un altro fondamentale interrogativo, ovvero se ha mai veramente percepito e ascoltato i pensieri del suo compagno. In questa fase di costruzione e ricostruzione, comincia a chiedersi la causa della trasformazione: volontaria, ricercata, casuale e fondamentalmente è nata in lui o la causa è stata proprio lei?

In questa continua ricerca della verità l’autrice conduce il lettore in una riflessione: dare per scontato ciò che abbiamo, perdendone il valore aggiunto e la sua essenza, come quando in una relazione di coppia ci si identifica con l’idea di amore che si ha come concetto e non con la persona amata o se stessi.

Interessante la riflessione di Edda, che cerca una nuova forma di comunicazione con Elliot scrivendogli racconti, quando si chiede l’utilità di ciò che scrive, visto che Elliot non ha mai dato importanza alle parole. Si redime subito, quando riaffiora in lei la percezione che ha avuto da ragazza dell’efficacia dei racconti: “Ho visto per la prima volta il tufo e l’ho riconosciuto perché ne avevo letto descrizioni nei libri”.

Nasce così un percorso introspettivo, affiancato alla ricerca per riappropriarsi del rapporto con Elliot in questa sua nuova forma che la conduce a riflessioni e valutazioni mai poste alla sua attenzione.

Il fulcro della novella di Francesca Mattei è il cambiamento o meglio la metamorfosi, che nella novella è intesa in tutte le sue forme, come trasformazione di un essere in una natura diversa e come modificazione funzionale o strutturale di un animale durante lo sviluppo e come cambiamento vistoso comportamentale. Il cambiamento è in corso in qualsiasi istante.

Perché leggere questa novella? La metamorfosi è innata in noi, fa parte della nostra natura, ma è interessante riflettere e soprattutto viverla da un nuovo punto di vista, per poi giungere a una nuova considerazione, quella che si pone Edda: “Quanto scegliamo quello che diventiamo?”

Simona Trunzo

L’arazzo algerino, recensione che passione, Simona Trunzo


 NOV 22, 2022
Recensioni: “L’arazzo algerino” di Antonio Pagliuso

L’arazzo algerino di Antonio Pagliuso, un titolo che istintivamente può indurre a un’ambientazione in paesi lontani, invece invita ad andare oltre e riflettere sul significato intrinseco dello stesso arazzo: “si esegue a mano in modo che i fili, che ne costituiscono la trama, formino un disegno figurato”. E ancor più l’arazzo risulterà essere protagonista e testimone silente e passivo degli eventi.

La narrazione porta il lettore in un paese del sud dal nome Longadonna, accompagnandolo in questo viaggio sin dall’introduzione narrativa: quasi un viaggio nel viaggio. Protagonista una famiglia francese che si è trasferita nel borgo per raggiungere la nonna, ormai vedova, trasferitasi a suo tempo per l’amore della sua vita. La loro storia si intreccerà con quella di altri personaggi del luogo, offrendo più spunti di riflessione durante la lettura.

“Non esiste condizione alla quale l’essere umano non possa abituarsi”, riferito allo spirito di adattamento attraverso cui un individuo si adegua all’ambiente modificando i propri schemi e operando sull’ambiente stesso; è ciò che accade continuamente a ogni persona che vive una situazione nuova e la reazione a essa è quasi sempre immediata, addirittura istintiva. I personaggi del romanzo, pubblicato da Dialoghi, vivranno a catena questa esplosione di avvenimenti che cambierà e condizionerà il loro quieto vivere.

Il pregiudizio, tema centrale de L’arazzo algerino

Il giallo pone rilievo a una riflessione che sempre più si palesa nel sociale: il pregiudizio: opinione preconcetta, che provoca atteggiamenti ingiusti, causata dall’incapacità o dalla non volontà di andare oltre, di cercare la verità o comunque creare un proprio pensiero pertinente. Il pregiudizio si è insinuato nel pensiero comune come una normalità, pigrizia al non ragionamento; questo è un crimine mascherato che condiziona la vita sociale di tutti o ancor peggio determina la vita di una singola persona con una causa-effetto non sempre positiva. C’è un pregiudizio protagonista e altri meno evidenti su cui riflettere.

La verità: perché se ne ha così paura? Non l’afferriamo neanche quando è a portata di mano, come un elemento pronto a rompere ogni equilibrio, anche quello individuale: come un caos imprevedibile e impenetrabile, che sì, causa disordine e disorientamento, ma poi si ristabilizza in una nuova fase di stabilità, arricchiti dalla consapevolezza personale e di ciò che è circostante: la verità contro il pregiudizio, una nuova lotta tra bene e male.

“Inquietudine improvvisa”, una sorta di premonizione che “si insinua tra le pareti del cervello, un tormento di cui non conosceva la natura né l’origine”. I legami affettivi fanno sentire in anticipo sensazione di quello che avverrà, in modo subdolo, perché non consente poi di cambiare le sorti di ciò che sta per accadere e se ne diventa vittime passive: un’inquietudine che anticipa gli eventi ma non ci dà nessun potere su di essi.

Un dolore paralizzante

Il dolore della perdita improvvisa di chi si ama, un dolore che si insinua in modo viscerale e stordisce ogni capacità cognitiva sensoriale: uno stordimento non inebriante, bensì paralizzante, un dolore che rende “incapaci di relazionarsi in una realtà che si sentiva sempre più estranea”. I sentimenti espressi dai personaggi, appartengono al vissuto di chiunque, ognuno può rivedersi e relazionarsi in un personaggio, in una determinata emozione di gioia o dolore, o in un particolare ruolo sociale.

Perché leggere L’arazzo algerino? Perché tutto è ben descritto e velato, sì velato non celato; perché la regia è ben ordita e l’intreccio della trama è tutto da scoprire.

Simona Trunzo

Un cuore al buio. Kafka recensione che passione, Simona Trunzo


Recensioni: “Un cuore al buio. Kafka” di Manuela Cattaneo della Volta e Livio Sposito

Un cuore al buio. Kafka. Il titolo introduce ampiamente a quello che sarà il tema principale del volume: l’amore, i sentimenti, in tutte le sue sfaccettature, luci e ombre, così come nella loro più forte semplicità, esprimono le parole cuore e buio. Il cuore inteso come sede degli affetti, dei sentimenti, delle emozioni e il buio: oscuro, senza luce, non illuminato, ma attenzione, non privo.

E poi il protagonista nella sua nuda essenza: “La sua vita è scrivere, se accetta mutamenti è perché ciò corrisponda meglio allo scrittore”. La sua sincerità nell’esporre questa sua essenza, priva di false giustificazioni, nell’affermare la sua incapacità a concedersi all’amore di coppia, perché il suo unico amore è per la scrittura. Consapevole di nuocere nel suo negarsi a chi tanto lo ama, intrappolato nei suoi conflitti interiori, nella paura di ferire e di essere aggredito a sua volta per le sue negligenze e i suoi lati oscuri. Un uomo tanto generoso intellettualmente, quanto avido dell’appropriarsi dei sentimenti altrui, quasi come linfa vitale, ma non per sé, bensì per la scrittura.

Nel romanzo di Manuela Cattaneo della Volta e Livio Sposito (Francesco Brioschi Editore) si intrecciano le storie di cinque donne, con un unico comune denominatore: l’amore per Franz Kafka, un uomo tanto amato che teme l’amore, proprio per la sua consapevole inadeguatezza a ricambiare, conscio della predisposizione del suo essere. Amori passionali, viscerali, carnali e non, in alcuni casi quasi platonici: ma le parole dello scrittore legano a sé il cuore delle donne che hanno cercato invano di trasformarlo in un docile amante.

Le parole in effetti, sono protagoniste quanto i sentimenti, testimonianza di rapporti epistolari, dove nero su bianco, l’amata percepisce di non appartenere più a sé stessa, ma nel contempo, neanche di appartenere all’amato. Lettere che diventano diario di vita per ridurre le distanze fisiche, che aumentano la trepidazione dell’attesa e lo smarrimento nella mancata ricezione o ritardo della stessa lettera.

Eppure, lo stesso Kafka, non riesce a controllare l’istintivo impulso verso colei che diventa oggetto del suo desiderio e, senza riuscire a darsi una spiegazione razionale, brama attenzione dall’amata, ne diventa dipendente, nonostante la continua lotta nel respingere il tutto:” Un’ombra che ti ama infinitamente, che però non si può esporre alla luce”.

Un’appartenenza reciproca assoluta e irreale al contempo. Sentimenti che, a lungo termine, possono intristire l’anima, come un giardino fiorito deturpato e indebolire il corpo; amore vissuto come una malattia e non come energia propulsiva che fa interagire due anime nella loro evoluzione comune. Così, mentre è pronto a chiudere un legame logoro, si slancia repentinamente nel viverne uno nuovo, avido di novità e nuovi modi di amare. Un’inutile illusione quella di riuscire a modificare l’entità dello scrittore, che ha sempre palesato in modo chiaro e netto la sua incapacità a concedersi all’amore, perché lo avrebbe distratto da ciò che lo rendeva vivo: la scrittura.

“L’arte per lui era sofferenza attraverso la quale si liberava per affrontare una sofferenza nuova… un uccello dalle piume più o meno sgargianti, chiuso nella gabbia della propria esistenza.” Per lui tutto è possibile nell’impossibile.

Ricapitoliamo: le parole chiave di questo romanzo sono: amore-scrittura-parole-lettere-sentimento. Amore e sentimento: è quello delle cinque donne che nei confronti di Kafka. Scrittura: Kafka nella sua essenza. Parole e lettere protagoniste del romanzo per due valori aggiunti: le lettere e le parole, dei sentimenti e dei legami dei personaggi sono elemento narrativo e prova tangibile di quanto narrato, perché proprio grazie alla testimonianza di queste lettere si è potuto dar vita allo stesso romanzo. Lettere che rappresentano testimonianza di vita vera, in un determinato sfondo sociale, storico, politico, culturale e politico e prova tangibile di passioni e sentimenti che altrimenti non avrebbero avuto modo d’essere.

Perché “In amore bisogna essere più forte dei dubbi”.

Simona Trunzo

Silenziosa sfiorisce la pelle, recensione ché passione, Simona Trunzo


Recensioni: “Silenziosa sfiorisce la pelle” di Tlotlo Tsamaase

Silenziosa sfiorisce la pelle di Tlotlo Tsamaase, edito Zona 42, un titolo dall’essenza poetica che introduce a una novella dai toni forti nella sua denuncia razziale e sociale. Una narrazione che rompe tutti i confini.

Non fidarti di chi non ha un’ombra – diceva mia nonna – se l’ombra si separa dal padrone significa che nel corpo non c’è più lo spirito. Qualcosa li ha separati.” Un’introduzione forte a ciò che sarà narrato successivamente, che resta nella memoria del lettore e che si ripropone in più momenti: un corpo senza ombra è privo di spirito/anima.

L’ombra è la proiezione del corpo, quindi un riflesso di se stessi, che può ricondurre a ricordi d’infanzia – quanti bambini hanno giocato con la propria ombra; ma potrebbe anche rappresentare il nostro inconscio, la parte sconosciuta, quella che forse non si vuole vedere, accettare, scoprire; quel lato oscuro che non si vuole accettare. In effetti l’autrice nativa del Botswana, si esprime a tal riguardo quando scrive: “L’unico momento in cui diventiamo noi stessi è quando moriamo e diventiamo inchiostro sempre nero nel cielo…”.

L’emarginazione che uccide

Il tema della morte sembra predominante, ma ciò a cui si fa maggior riferimento è la tematica morale-spirituale, quella che ti uccide dentro. La sottomissione spirituale, sociale, razziale: l’emarginazione che solo l’essere umano sa creare. Il dramma che vive la protagonista, che rivede frammenti di se stessa riflessi in schegge di uno specchio rotto: occhi di una ragazza che riesce a vedere la vera identità delle persone, ma non la propria.

Il tutto si svolge in un’ambientazione dettagliatamente descritta, che apre il lettore a una realtà sconfinata e astratta, quasi non catalogabile, dove l’unica realtà tangibile sono i sentimenti. Emergono il senso di emarginazione e distruzione sociale, in una lotta impari, in cui la protagonista e la sua compagna si oppongono in una lotta ricca di stratagemmi; perché nella vita si possono fare due cose: vivere o morire.

Divisioni antiche comuni a ogni civiltà

Una città divisa in due parti da un binario su cui passa il treno dei defunti: un lato orientale dove sorge e tramonta il sole e uno occidentale dove sorge e tramonta la luna; ulteriore elemento che evidenzia divisioni e differenziazioni.

Il senso di esclusione e distruzione si fa sempre più incalzante durante la narrazione, abbattendo così ogni distanza di genere con le similitudini più sordide che accomunano ogni luogo e civiltà: superstizioni, tradizioni, conflitti, intolleranza, marginalizzazione, distruzione.

La protagonista, colpevole delle sue stesse scelte, si oppone a tutto questo con ogni sua forza, ogni suo respiro, provocando la sua stessa “sfioritura della pelle”: simbolo dell’annientamento di sé; perché “uniformandoti perderai tutto ciò che hai”.

La lotte per mantenere e conquistare la propria identità di Tlotlo Tsamaase

Perché leggere questa novella di Tlotlo Tsamaase? Per la capacità dell’autrice di parlare di un conflitto sociale e individuale, in una terra come l’Africa, in una narrazione che rompe tutti i confini, riproducendo un’ambientazione che può essere di tutti e in ogni luogo, perché tutti, in modo diverso, lottano per la propria identità personale.

Simona Trunzo

Il mondo magico di Sandy, recensione che passione, Simona Trunzo

IL MONDO MAGICO DI SANDY, DI DANIELA VIVIANO “Narra la leggenda che sia accaduto solo una volta, dico una volta sola che una goccia di r...