domenica 24 luglio 2022

ALCHIMIA DI MONDI DIVERSI, recensione che passione, Simona Trunzo

ALCHIMIA DI MONDI DIVERSI.
Alchimia: nel lèggere o sentire questa parola si rievoca un mondo di elementi esoterici, di narrazioni lontane dai nostri tempi frenetici e leggendarie, quasi a rievocare uno stato di quiete interiore, che si ripercuote magicamente anche in ciò che ci circonda. In effetti, il termine alchimia, tra i suoi significati, riporta quello che segue come principale:” antica scienza empirica progenitrice della chimica spesso di carattere magico, rivolta alla scoperta dei segreti dell’universo”, e del principio attraverso cui trasformare metalli vili in oro e di creare medicamenti atti a guarire ogni malattia e a prolungare la vita oltre i suoi termini naturali. Incredibile come una semplice parola composta da otto lettere possa essere così pregna di significato e realtà diversificata.
Dopo questa breve parentesi torniamo al titolo del romanzo: “Alchimia di mondi diversi” di Morena Festi, edito da Giovane Holden Edizioni; forse, nel caso specifico del romanzo alchimia fa riferimento a “mescolanza, accostamento raffinato e inconsueto di elementi o, racchiude tutto ciò che permea il significato della parola. Si scoprirà solo leggendo….
Prima di addentrarsi nella lettura, una breve dedica “Ai folletti col cielo negli occhi”, valido indizio per ciò che seguirà; infatti la narrazione ha inizio proprio con un’accurata descrizione di un folletto: “La punta aguzza di un cappello color cobalto e due piccole braccia tese in alto, fuori dalla coltre soffice. Unica macchia di colore in tutto quel bianco.”
Il bianco di una coltre di nube che la protagonista ci descrive facendoci partecipi della sua partenza per l’Islanda, un viaggio tanto desiderato quanto sperato e maturato nel tempo, con radici fondate nel periodo della sua infanzia, quando lei stessa era protagonista della lettura di fiabe leggendarie, con principali protagonisti i folletti. In questo viaggio lei sarà protagonista diretta, nella realtà del viaggio, di mondi, diversi che si fondono in pura alchimia: quelli dei folletti e degli umani che popolano le terre d’Islanda.
In tutto il percorso della sua esplorazione sarà accompagnata da un dubbio che le pervade la mente: per quale motivo ancestrale lei ha la facoltà di poter vedere oltre quel confine che separa due realtà così vicine, che si intrecciano abilmente senza invadere la realtà una dell’altra! I suoi stessi compagni di viaggio sono esenti dal vivere la stessa esperienza: che si tratti di un dono fatto dagli stessi folletti? E così, nel girovagare tra una meta e l’altra, tra geyser, villaggi, dune, fattorie sperdute e spazi infiniti, condivide con il lettore, il mondo nascosto dei folletti; con il consapevole terrore di non poter mantenere vivo il ricordo di questa sua percezione, perché, si sa, i folletti hanno il “potere del ricordo svanito”, gli basta fissare negli occhi la determinata persona e il loro ricordo e tutto ciò che è stato visto relativo al loro mondo, sarà cancellato, il soggetto non ne avrà più memoria.
Un’altra curiosità della protagonista è sapere se poi lei è effettivamente un'unica prescelta o ci sono altri essere umani che hanno la possibilità di vedere oltre. Forse i bambini:
“A loro è dato il dono di osservare con gli occhi dell’innocenza e senza preconcetti. Credo proprio che nei primi anni di vita, umani e folletti non abbiano cognizione di appartenenze a razze diverse. Giocano semplicemente assieme.”
In questa narrazione fantastica e poetica al contempo, l’autrice apre all’opportunità di spunti relativi al quotidiano, ad esempio come, semplici affermazioni ripetute all’infinito a cui quasi non si fa più attenzione: in effetti l’innocenza di un bambino si palesa quotidianamente, un’innocenza che il bambino ha sua sino a quando non è intaccata dai pregiudizi della vita degli adulti. Il bambino vive di fantastici e delicati istinti: sorride, gioca o allontana da sé a suo piacimento, senza dover compiacere: tutto ciò che lo circonda rapportato al suo semplice mondo.
Anche i folletti descritti nel romanzo diventano pretesto per far affiorare, in modo completamente esente da giudizi, fattori pertinenti il rispetto ed il valore dell’ambiente, proprio quando attribuisce loro dei ruoli ben definiti. I folletti dell’acqua, quindi ruscelli, torrenti, fiumi, laghi, mari e oceani. L’acqua vuole essere libera quindi bisogna occuparsi con attenzione del suo contenimento. Così come i folletti del ghiaccio, che devono proteggere dallo scioglimento e i folletti del fuoco, che devono contenere quest’indomabile energia.
Un viaggio ricco di sorprese e soddisfazioni, che non poteva non concludersi con uno degli eventi più importanti da osservare, se non il più importante o affascinante! L’aurora boreale:
“Fiamme guizzanti divampano, si assottigliano e si spengono, scompaiono e riappaiono con variazione di luce diversa e discontinua. I colori si fondono…. ……È uno dei rari momenti in cui veramente passato e futuro non esistono. Si vive solo il presente, un presente che ti risucchia e vorresti non finisse mai.”
In questa fase del romanzo si pone a confronto la veridicità scientifica dell’aurora boreale, in opposizione agli elementi magici e dell’occulto; o meglio la magia di un unico folletto, che si diverte a dirigere l’aurora e i suoi colori come un direttore d’orchestra.
Ma questa avventura, come tutte le cose belle, è finita: è già il momento di ripartire e salutare la fantastica Islanda.
Perché leggere questo romanzo: perché ci conduce ad una vita surreale, in un viaggio guidato dagli scorci d’Islanda, descritti con accurata minuzia e arricchita, dalla visione reale o meno, di una vita parallela in un mondo che detiene due realtà apparentemente parallele in sé: la nostra e quelle dei folletti. Un’ occasione per rivivere l’incanto di favole narrate e poi dimenticate.
Simona Trunzo

IL CANE DI FALCONE, recensione che passione, Simona Trunzo

IL CANE DI FALCONE
Di Dario Levantino Fazi Editore
Il titolo potrebbe condurre alcuni lettori alla figura del Magistrato Giovanni Falcone, emblema della lotta alla mafia; altri potrebbero semplicemente essere incuriositi e accattivati dall’illustrazione di copertina raffigurante un cane al guinzaglio con un uomo di cui non vi è volto. Cominciando a sfogliare il libro dal primo foglio a seguire, possiamo focalizzare, oltre titolo-nome autore-casa editrice il logo della fondazione Falcone, raffigurante l’Albero simbolo dell’impegno verso lo stato e la lotta alle mafie; a tutto ciò segue la prefazione di Maria Falcone, sorella di Giovanni Falcone, conferma inequivocabile, che si tratti proprio di Giovanni Falcone.
Ritorniamo al titolo: perché il “Cane di Falcone?” la risposta si ha ad inizio lettura, quando si presenta la voce narrante: il cane. Il cane, che informa il lettore di essere autore del libro e, per rassicure sulle sue capacità narrative, introduce al romanzo evidenziando alcune sue peculiarità personali: ottima memoria, che gli consente di narrare anche di fatti lontani; caratteristiche fisiche: è zoppo e caratteristiche percettive: è un pò veggente. Poi ci introduce nel suo mondo, la sua storia, dalla sua famiglia d’origine: la madre e la cucciolata in cui è nato e il luogo: un paesino siciliano, in un particolare vicolo, con un particolare e definito umano, che abitava proprio lì.
L’introduzione quasi fiabesca si apre ad uno scenario improvviso di una realtà crudele e spietata. L’alternanza narrativa scelta accompagnerà il lettore in tutto il romanzo. Ed è proprio un evento crudele che condurrà il nostro protagonista, in fuga dal paesello nativo, a Palermo, dove ormai solo, dovrà impegnarsi per la sopravvivenza. Con il trascorrere dei giorni il cane nota che la parola più usata e diffusa in quella città è mafia, se ne parla in ogni luogo e modo e giunge ad una sua personale riflessione: “Mi convinsi pure di un’altra verità: non possiamo accorgerci della Mafia soltanto quando viene allo scoperto, perché le cose accadono quando sono già accadute.”
“Le cose accadono quando sono già accadute”, si può chiarire questa riflessione con un esempio esemplificativo che esula dalla narrazione: “il telegrafo senza fili fu ideato all’epoca di Guglielmo Marconi, ma le onde elettromagnetiche erano già esistenti.” L’intuizione e la capacità creativa si attivano su una base di partenza, un qualcosa di astratto già esistente e non se né può negare l’evidenza.
Poi giunge il giorno della sua prima premonizione: l’esplosione di una bomba che sarebbe avvenuta di lì a pochi secondi; il mezzo una Fiat 126 verde in Via Pipitone 59. Il suo abbaiare per avvisare le persone circostanti fu inutile. Questa incapacità di poter intervenire in soccorso dei cittadini segnò il cane emotivamente e moralmente.
L’alone di corruzione, omertà, violenza indiscriminata contro innocenti, fa crescere nel giovane randagio un forte senso di giustizia, che lo porta ad una decisione nuova: imparare ad abbaiare bene, ululare come un lupo, così da poter disperdere i civili in caso di agguato mafioso e, per raggiungere ciò comincia ad esercitarsi durante la notte. Ma questo abbaiare notturno non è ben accetto, più di una persona ne è infastidito e, proprio quando decidono di allontanarlo sarà salvato dall’intervento di colui che diverrà il suo compagno di vita; il primo che gli dona una carezza e lo accoglie a sé: Giovanni Falcone. Il cane sarà sistemato presso il tribunale, luogo dove il magistrato trascorre la maggior parte della giornata: si impegnerà a portarlo dal veterinario, comprargli un guinzaglio e tutto il necessario per farlo star bene, e poi la scelta del nome: Edipo, ridotto poi al nomignolo di Uccio, come fu a suo tempo per Falcone. I due con il tempo conquistano un rapporto di fiducia confidenziale ed intimo.
Uccio, tra le ore trascorse in tribunale, i notiziari ascoltati dal televisore del bar e le confidenze del magistrato, comincia ad essere sempre più informato riguardo l’argomento Cosa Nostra ed è in grado di giungere a riflessioni personali a riguardo:
“Quando incasellai l’ultimo tassello di quel mosaico, rimasi deluso e stregato allo stesso tempo. Deluso per la genialità del male e stregato per la strategia del giudice Falcone, capace di scoprire quell’invisibile trama grazie alla sua inchiesta denominata “Pizza connection”.
Le riflessioni di Uccio ci guidano in un percorso di vita personale e, fatti di reale quotidianità della vita del tempo, senza far distrarre il lettore dalla narrativa o, disperderne la trama, che è un tutt’uno ben intessuto.
Uccio riesce anche a ritagliarsi degli spazi di tempo e luogo tutti suoi e scoprirà così anche l’amore per una dolce cagnetta di nome Kelly; così come avrà modo di conoscere la donna di cui è innamorato il magistrato. Già, ma uccio come può definire la relazione affettiva che lo lega al suo umano? In questo passaggio l’autore coglie l’occasione per parlare di legami familiari, in particolare della figura paterna. Padre biologico e padre dal punto di vista affettivo: “un padre dedica tempo ai suoi figli, li riprende in caso di bravate, li difende dagli altri, si preoccupa della loro salute e al pari di una madre li accarezza.” Padre è colui che ti cresce, così la conclusione più ovvia per Uccio è che Falcone è suo padre.
In questo romanzo, nel continuo intrecciarsi della vita del Magistrato e di Uccio, con tutte le loro vicissitudini e condizionamenti comuni, nella scelta narrativa fiabesca, sempre attuale e mai fuori tempo, si nota una simbologia prepotente che ci accompagna nel racconto: il bastone. Il bastone, generalmente, rappresenta un simbolo di potere e sapere magico, utile per scacciare le forze del male, mentre in questo racconto il bastone, associato alle figure mafiose racchiude in sé proprio le forze del male associate all’essere umano, una malvagità feroce.
Perché leggere questo libro: oltre a ripercorrere uno spaccato storico della nostra società, l’intrecciarsi della vita del cane e del magistrato, legati da un malessere invisibile, la Mafia e grazie alla scelta narrativa, l’autore si limita a riportare gli accaduti privi di enfasi emotiva, riversandola tutta nella fiaba, che assumerà toni cruenti e dolorosi. Un punto di vista a noi sconosciuto che ci consentirà di giungere ad un auto analisi delle vicende privi da condizionamenti,
“L’importante è saper convivere con la propria paura e non farsene condizionare. Ecco il coraggio è questo, altrimenti non c’è più coraggio ma incoscienza.” (Giovanni Falcone)
di Simona Trunzo

lunedì 18 luglio 2022

"Crescita selvaggia " recensione ché passione, Simona Trunzo

 

“Crescita selvaggia” di Sheng Keyi

"Crescita selvaggia" di Sheng Keyi

Immergersi e confrontarsi in nuove letture, un viaggio in cui si può diventare protagonisti passivi e, perché no, emotivamente attivi. In questo caso particolare, il titolo, indirizza la curiosità del lettore verso l’idea di famiglia e di crescita efferata e feroce, orientando in una precisa narra. In effetti la prima cosa che si palesa ad inizio lettura è un grafico, o meglio, l’albero genealogico della famiglia: nonno/nonna-padre/madre, figli nipoti, ovvero i principali protagonisti.

«La nostra famiglia era priva della capacità di consolare gli altri, ciascuno gestiva le proprie emozioni in solitudine, ma effettivamente nessuno aveva mai perso il controllo. La luce in un mondo di menzogna non è che il neon di un obitorio.»

Questo il fulcro di ciò che sarà snocciolato: emozióni represse e nascoste dall’incapacità e l’impossibilità di esternarle, in una famiglia che vive di stenti, in una società maschilista in cui la donna non ha libertà di genere, dove tutti sono uguali solo nel non perdere il controllo delle loro frustrazioni, dolori, speranze, gioie e amori; in un mondo di menzogna preludio della morte emotiva. La narratrice ci presenta subito la sua antenata, la nonna di cui ha memoria solo grazie la fotografia appesa alla parete, introducendoci ai dissapori tra il nonno e il padre, che con il passare del tempo sono diventati sempre più aspri e cruenti, un’intolleranza reciproca, che segnerà I destini futuri, causata dalla precedente vita del nonno cresciuto in ricchezza e benessere, di cui non ha saputo lasciare niente in eredità al figlio, a causa del vizio del gioco. L’unica eredità che il nonno tramanderà alla nipote:

«una buona calligrafia, che consente di coltivare la nobiltà d’animo.»

Contrasti generazionale e socioculturali

Così si accede ad un racconto parallelo ed incrociato dei protagonisti della famiglia, in un contrasto e confronto generazionale che ne mette a nudo ogni aspetto, incastonato in una società che ben ne rappresenta il passaggio storico,politico e sociale e l’evolversi dei tempi. Uno dei passaggi fondamentali che segnerà I destini di questa famiglia è rappresentata dai tumulti a Pechino e le manifestazioni universitarie, che evidenzierà la netta spaccatura sociale tra ricchi e poveri, colti e nón; il ruolo dell’esercito e delle figure militari e la loro influenza, non sempre ben gestita; l’importanza della libertà di stampa e il valore aggiunto dell’Università, non solo come un percorso di studi fine a sé stesso, ma come un’opportunità. Un’opportunità intesa come via di fuga dalla miseria e dalla costrizione; un miglioramento culturale ed economico, quindi di riscatto sociale, dove non sei più “il figlio di “, ma una persona con una propria identità personale, che ti contraddistingua dagli altri. Ma anche la più aspirata delle figure professionali cela il suo lato oscuro:”È a fare i giornalisti che si scopre quanto sia storta la società. ” un continuo contrasto e opposizioni di personaggi forti e deboli, colti ed ignoranti, ricchi e poveri, affiancata dalla scelta linguistica della scrittrice, a tratti semplice-raffinata-poetica, che va a contrastare violentemente ed improvvisamente, con dialoghi e descrizioni rudi-volgari, quasi inaspettati, che infastidiscono e, nel contempo fanno arrivare il messaggio crudo e duro così come la realtà che rappresentano. In questo gioco di alternanza, l’autrice racconta ogni personaggio nei capitoli a loro dedicati in cui si avvicendano, scatenando un racconto nel racconto, per quanto ne vengano evidenziate le peculiarità emotive e caratteriali, identità singole e autonome, unite da quel sottile legame di sangue che è l’unico fil rouge che li unisce in un effimero senso di appartenenza.

«Mia madre era una quercia ed io un fuscello che cresceva appoggiata ad essa»

Questa frase è anticipata da una descrizione di mamma dall’istinto selvaggio e felino, di una donna annientata e spenta dalle avversità della vita; ma nonostante ciò la protagonista è riuscita a costruire col passare degli anni, un rapporto indecifrabile e silenzioso, e così per lei la madre, la persona che più ama al mondo, è il suo punto di forza e sostegno, così come il legame del ramoscello alla quercia, che sono inevitabilmente interdipendenti l’una all’altra. E così si evincerà che, anche da un rapporto affettivo e d’amore come quello tra madre e figlia, vi è un lato oscuro. Lo stesso lato oscuro che accomuna, senza distinzione, ricchi e poveri: sconfitti e uniti da un malessere simbiotico. Lo stesso lato oscuro intrinseco nelle istituzioni che emerge durante la narrazione quando ci scontriamo con frasi del tempo tipo:” Meglio un fiume di sangue che un figlio di troppo!”, riferito alla pianificazione delle nascite. Ogni personaggio avrà una sua evoluzione, inizio e fine, tutto sarà correlato da casualità, scelte, condizioni, incontri, malessere e volontà al cambiamento.

Perché leggerlo: l’autrice attraverso la voce narrante della protagonista, ci guiderà in una rappresentazione di verità sociale in modo semplice e diretto. Ogni lettore si può rapportare e identificare in uno o più, perché al di là del paese e della Nazione, ciò che è sempre comune è l’animo umano e il valore di appartenenza, le radici e il ruolo della famiglia, che in primis,segna ognuno di noi.

Il mondo magico di Sandy, recensione che passione, Simona Trunzo

IL MONDO MAGICO DI SANDY, DI DANIELA VIVIANO “Narra la leggenda che sia accaduto solo una volta, dico una volta sola che una goccia di r...