Di Dario Levantino Fazi Editore
Il titolo potrebbe condurre alcuni lettori alla figura del Magistrato Giovanni Falcone, emblema della lotta alla mafia; altri potrebbero semplicemente essere incuriositi e accattivati dall’illustrazione di copertina raffigurante un cane al guinzaglio con un uomo di cui non vi è volto. Cominciando a sfogliare il libro dal primo foglio a seguire, possiamo focalizzare, oltre titolo-nome autore-casa editrice il logo della fondazione Falcone, raffigurante l’Albero simbolo dell’impegno verso lo stato e la lotta alle mafie; a tutto ciò segue la prefazione di Maria Falcone, sorella di Giovanni Falcone, conferma inequivocabile, che si tratti proprio di Giovanni Falcone.
Ritorniamo al titolo: perché il “Cane di Falcone?” la risposta si ha ad inizio lettura, quando si presenta la voce narrante: il cane. Il cane, che informa il lettore di essere autore del libro e, per rassicure sulle sue capacità narrative, introduce al romanzo evidenziando alcune sue peculiarità personali: ottima memoria, che gli consente di narrare anche di fatti lontani; caratteristiche fisiche: è zoppo e caratteristiche percettive: è un pò veggente. Poi ci introduce nel suo mondo, la sua storia, dalla sua famiglia d’origine: la madre e la cucciolata in cui è nato e il luogo: un paesino siciliano, in un particolare vicolo, con un particolare e definito umano, che abitava proprio lì.
L’introduzione quasi fiabesca si apre ad uno scenario improvviso di una realtà crudele e spietata. L’alternanza narrativa scelta accompagnerà il lettore in tutto il romanzo. Ed è proprio un evento crudele che condurrà il nostro protagonista, in fuga dal paesello nativo, a Palermo, dove ormai solo, dovrà impegnarsi per la sopravvivenza. Con il trascorrere dei giorni il cane nota che la parola più usata e diffusa in quella città è mafia, se ne parla in ogni luogo e modo e giunge ad una sua personale riflessione: “Mi convinsi pure di un’altra verità: non possiamo accorgerci della Mafia soltanto quando viene allo scoperto, perché le cose accadono quando sono già accadute.”
“Le cose accadono quando sono già accadute”, si può chiarire questa riflessione con un esempio esemplificativo che esula dalla narrazione: “il telegrafo senza fili fu ideato all’epoca di Guglielmo Marconi, ma le onde elettromagnetiche erano già esistenti.” L’intuizione e la capacità creativa si attivano su una base di partenza, un qualcosa di astratto già esistente e non se né può negare l’evidenza.
Poi giunge il giorno della sua prima premonizione: l’esplosione di una bomba che sarebbe avvenuta di lì a pochi secondi; il mezzo una Fiat 126 verde in Via Pipitone 59. Il suo abbaiare per avvisare le persone circostanti fu inutile. Questa incapacità di poter intervenire in soccorso dei cittadini segnò il cane emotivamente e moralmente.
L’alone di corruzione, omertà, violenza indiscriminata contro innocenti, fa crescere nel giovane randagio un forte senso di giustizia, che lo porta ad una decisione nuova: imparare ad abbaiare bene, ululare come un lupo, così da poter disperdere i civili in caso di agguato mafioso e, per raggiungere ciò comincia ad esercitarsi durante la notte. Ma questo abbaiare notturno non è ben accetto, più di una persona ne è infastidito e, proprio quando decidono di allontanarlo sarà salvato dall’intervento di colui che diverrà il suo compagno di vita; il primo che gli dona una carezza e lo accoglie a sé: Giovanni Falcone. Il cane sarà sistemato presso il tribunale, luogo dove il magistrato trascorre la maggior parte della giornata: si impegnerà a portarlo dal veterinario, comprargli un guinzaglio e tutto il necessario per farlo star bene, e poi la scelta del nome: Edipo, ridotto poi al nomignolo di Uccio, come fu a suo tempo per Falcone. I due con il tempo conquistano un rapporto di fiducia confidenziale ed intimo.
Uccio, tra le ore trascorse in tribunale, i notiziari ascoltati dal televisore del bar e le confidenze del magistrato, comincia ad essere sempre più informato riguardo l’argomento Cosa Nostra ed è in grado di giungere a riflessioni personali a riguardo:
“Quando incasellai l’ultimo tassello di quel mosaico, rimasi deluso e stregato allo stesso tempo. Deluso per la genialità del male e stregato per la strategia del giudice Falcone, capace di scoprire quell’invisibile trama grazie alla sua inchiesta denominata “Pizza connection”.
Le riflessioni di Uccio ci guidano in un percorso di vita personale e, fatti di reale quotidianità della vita del tempo, senza far distrarre il lettore dalla narrativa o, disperderne la trama, che è un tutt’uno ben intessuto.
Uccio riesce anche a ritagliarsi degli spazi di tempo e luogo tutti suoi e scoprirà così anche l’amore per una dolce cagnetta di nome Kelly; così come avrà modo di conoscere la donna di cui è innamorato il magistrato. Già, ma uccio come può definire la relazione affettiva che lo lega al suo umano? In questo passaggio l’autore coglie l’occasione per parlare di legami familiari, in particolare della figura paterna. Padre biologico e padre dal punto di vista affettivo: “un padre dedica tempo ai suoi figli, li riprende in caso di bravate, li difende dagli altri, si preoccupa della loro salute e al pari di una madre li accarezza.” Padre è colui che ti cresce, così la conclusione più ovvia per Uccio è che Falcone è suo padre.
In questo romanzo, nel continuo intrecciarsi della vita del Magistrato e di Uccio, con tutte le loro vicissitudini e condizionamenti comuni, nella scelta narrativa fiabesca, sempre attuale e mai fuori tempo, si nota una simbologia prepotente che ci accompagna nel racconto: il bastone. Il bastone, generalmente, rappresenta un simbolo di potere e sapere magico, utile per scacciare le forze del male, mentre in questo racconto il bastone, associato alle figure mafiose racchiude in sé proprio le forze del male associate all’essere umano, una malvagità feroce.
Perché leggere questo libro: oltre a ripercorrere uno spaccato storico della nostra società, l’intrecciarsi della vita del cane e del magistrato, legati da un malessere invisibile, la Mafia e grazie alla scelta narrativa, l’autore si limita a riportare gli accaduti privi di enfasi emotiva, riversandola tutta nella fiaba, che assumerà toni cruenti e dolorosi. Un punto di vista a noi sconosciuto che ci consentirà di giungere ad un auto analisi delle vicende privi da condizionamenti,
“L’importante è saper convivere con la propria paura e non farsene condizionare. Ecco il coraggio è questo, altrimenti non c’è più coraggio ma incoscienza.” (Giovanni Falcone)
di Simona Trunzo
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